Dal caso Mortara al bimbo ebreo mascotte delle SS. Due storie incredibili a 84 anni di distanza tra loro.

Ilya Galperin era solo un ragazzino di sei anni della Bielorussia che come tutti i suoi familiari ebrei fu coinvolto nella brutale retata compiuta dalle SS naziste nell’ottobre del 1941, presso il sobborgo di Koldanov.
Riuscì miracolosamente a fuggire dal campo di concentramento e a nascondersi fra gli alberi.

Nove mesi più tardi il bambino, scoperto da un militare, che per salvargli la vita gli aveva assegnato un’identità falsa ordinandogli di non rivelare mai a nessuno il suo vero nome, fu adottato dalle SS per oltre due anni, che credendolo ariano lo portarono con loro sul fronte russo come mascotte, con tanto di uniforme nazista e di fucile giocattolo.

Una storia incredibile che, seppur diversa nel suo svolgersi, ci ha ricordato quella del caso Mortara avvenuta nel 1858, raccontata minuziosamente da Daniele Scalise nel suo libro, appunto “Il caso Mortara“, pubblicato da Mondadori.

Bologna 1858, le guardie dell’inquisizione bussano alla porta di casa Mortara, una famiglia ebraica della città, e strappano dalle braccia dei genitori il piccolo Edgardo, bambino di sei anni, che i gendarmi papalini sostengono essere stato battezzato di nascosto anni prima da una domestica cattolica.

Inizia in questo drammatico modo la tragedia di una famiglia e con essa lo scandalo nazionale e internazionale. Il potere papale in agonia utilizza brutalmente questo rapimento per dimostrare una forza ormai esaurita. Napoleone III, Francesco Giuseppe, Cavour supplicano l’intercessione di papa Pio IX che non si fa commuovere dalle molte autorevoli richieste, nè intimidire dalle ancora più numerose proteste.
Edgardo resterà per sempre ostaggio del papa, crescerà in convento, diventerà prete e morirà novantenne, convinto di essere “graziato”, vittima fino in fondo della violenza e della intolleranza antisemita.

A differenza del piccolo Edgardo, il bimbo bielorusso che oggi si chiama Alex Kurzem, ha settant’anni e vive in Australia, ha trovato la forza mentale di ricostruire quei momenti incredibili in cui venne anche fotografato più volte dalla Wehrmacht, con l’uniforme nazista come modello di “soldato bambino”.

Aiutato dal figlio Mark, ha pubblicato di recente il libro The Mascot, dal quale la rete televisiva australiana ABC ha realizzato un film-documento.

    
       

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