The New Yorker compie 100 anni!

Il 21 febbraio 1925, un nuovo settimanale faceva la sua comparsa nelle edicole di New York, promettendo di essere un “riflesso nella parola e nell’immagine della vita metropolitana”. Nessuno avrebbe potuto prevedere che quella rivista, “The New Yorker“, sarebbe diventata una delle voci più influenti e durature della cultura americana e mondiale. Un secolo dopo, The New Yorker è ancora noto per la sua capacità di sorprendere, deliziare e informare con accuratezza e profondità.

Quest’anno la rivista festeggia il suo centenario, un traguardo che celebra non solo la sua longevità, ma anche la sua capacità di rimanere rilevante, sofisticata e, in un certo senso, eternamente “blasé”.

    
       

Un Secolo di Eleganza e Arguzia

Il 21 febbraio 1925, un nuovo settimanale faceva la sua comparsa nelle edicole di New York, promettendo di essere un “riflesso nella parola e nell’immagine della vita metropolitana”. Nessuno avrebbe potuto prevedere che quella rivista, “The New Yorker“, sarebbe diventata una delle voci più influenti e durature della cultura americana e mondiale. Un secolo dopo, The New Yorker è ancora noto per la sua capacità di sorprendere, deliziare e informare con accuratezza e profondità.

Quest’anno la rivista festeggia il suo centenario, un traguardo che celebra non solo la sua longevità, ma anche la sua capacità di rimanere rilevante, sofisticata e, in un certo senso, eternamente “blasé”.

La Nascita e la Visione di Harold Ross

L’idea di “The New Yorker” nacque dalla mente e dal monocolo di Harold Ross, un giornalista del Midwest senza una laurea, ma con una visione molto chiara. Stanco dei giornali sensazionalistici, Ross voleva creare una rivista che si rivolgesse a un pubblico “sofisticato”, che si assumesse un “ragionevole grado di illuminazione da parte dei suoi lettori”. Una frase iconica che riassume il suo intento è quella che la rivista “non si rivolge alle vecchie signore di Dubuque”, un modo per dire che non era destinata a un pubblico provinciale.

La prima copertina, disegnata da Rea Irvin, divenne immediatamente un’icona: l’immagine del dandy Eustace Tilley, con la sua tuba e il monocolo, intento a osservare una farfalla. Questo personaggio, sebbene non fosse mai stato destinato a essere una mascotte ufficiale, divenne l’emblema non ufficiale della rivista e appare ancora oggi in occasione dell’anniversario.

Nonostante la visione, l’inizio non fu facile. Dopo pochi mesi, le vendite crollarono e la rivista era sull’orlo del fallimento. Fu solo grazie all’intervento finanziario del co-fondatore Raoul Fleischmann, convinto da Ross a raddoppiare l’investimento, che “The New Yorker” riuscì a sopravvivere e a decollare.

Un’Isola di Giornalismo e Letteratura

Fin dalle origini, la rivista si è distinta per un mix unico di contenuti: saggi approfonditi, racconti, poesie, satira, critica culturale e, ovviamente, le sue inconfondibili vignette.

  • Giornalismo di lunga forma: “The New Yorker” ha rivoluzionato il giornalismo con il suo approccio alle “long-form stories”, reportage lunghi e meticolosi che approfondiscono un argomento in modo ineguagliabile. Il suo impegno per la “fact-checking” è leggendario: un’intera squadra di ben ventotto persone, ancora oggi, verifica ogni singola affermazione prima della pubblicazione.
  • Contributi d’autore: Le sue pagine sono state un trampolino di lancio e una casa per alcuni dei più grandi nomi della letteratura del XX e XXI secolo. Da J.D. Salinger a Vladimir Nabokov, da Dorothy Parker a John Updike, la lista degli autori è sterminata.
  • Le vignette: Le vignette sono una parte essenziale dell’identità della rivista, con un umorismo sottile e spesso surreale che ha fatto scuola. Non a caso, nel gergo comune, l’espressione “New Yorker cartoon” è diventata sinonimo di una vignetta intelligente e tagliente.
  • Le copertine: Le copertine della rivista sono vere e proprie opere d’arte, spesso capaci di catturare lo spirito del tempo con un’unica immagine. Da quella celeberrima del 2001, in cui le sagome delle Torri Gemelle si stagliavano appena visibili su uno sfondo nero, a quelle che affrontano temi politici e sociali, ogni copertina è un manifesto visivo.

I Direttori e le Curiosità

La storia di “The New Yorker” è segnata anche dai suoi direttori, figure carismatiche che ne hanno plasmato l’evoluzione:

  • Harold Ross (1925-1951): Il fondatore, un perfezionista e un uomo tormentato ma geniale, che ha definito l’identità della rivista.
  • William Shawn (1952-1987): Il direttore più longevo, sotto la sua guida la rivista divenne un faro di giornalismo d’inchiesta, pubblicando pezzi epocali come il celebre “Hiroshima” di John Hersey.
  • Tina Brown (1992-1998): L’unica donna a dirigere la rivista, soprannominata scherzosamente “Una Stalin in tacco 12” per la sua determinazione, ha rivitalizzato la rivista con un approccio più contemporaneo e accattivante.
  • David Remnick (1998-oggi): Sotto la sua direzione, “The New Yorker” ha saputo abbracciare l’era digitale, pur mantenendo la sua identità e il suo rigore.
Dorothy Parker – Critico e umorista

Curiosità: La “Casalinga di Dubuque”

L’espressione “la casalinga di Dubuque, Iowa” è entrata a far parte del gergo della redazione per indicare un lettore che non avrebbe capito le allusioni sofisticate della rivista. Era una sorta di “prova del nove” interna: se un pezzo risultava troppo oscuro o elitario, la battuta era che non sarebbe stato compreso dalla “casalinga di Dubuque”. Questa figura immaginaria, ben presto, divenne un simbolo dell’identità snob e colta di “The New Yorker”.

A 100 anni dalla sua fondazione, la rivista continua a rappresentare un’eccellenza nel mondo del giornalismo e della cultura. Con una combinazione di rigore, eleganza e umorismo, “The New Yorker” ha dimostrato che un certo tipo di giornalismo, quello che non ha fretta, che scava a fondo e che assume l’intelligenza dei suoi lettori, è tutt’altro che morto. Il suo è un racconto di successo che continua a essere scritto, numero dopo numero.

    
       

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