Oriana racconta Oriana 

Come si fa a raccontare la vita intensa e complessa della giornalista italiana più conosciuta nel Mondo senza sembrare ossequiosa o critica. Come si fa a rimanere neutrale di fronte alla sua energia esplosiva che traspare da ogni suo scritto, in cui di neutrale non c’è assolutamente nulla! 

Ho deciso, quindi, di far raccontare Oriana ad Oriana. Prendendo brani di interviste e dei suoi libri. Ho lasciato insomma, che a parlare di Oriana Fallaci, fosse la stessa scrittrice, attraverso i suoi scritti più rappresentativi.

    
       

Scrivere un articolo su Oriana Fallaci sarebbe un compito arduo anche per il più esperto dei giornalisti. 

Come si fa a raccontare la vita intensa e complessa della giornalista italiana più conosciuta nel Mondo senza sembrare ossequiosa o critica. Come si fa a rimanere neutrale di fronte alla sua energia esplosiva che traspare da ogni suo scritto, in cui di neutrale non c’è assolutamente nulla! 

Ho deciso, quindi, di far raccontare Oriana ad Oriana. Prendendo brani di interviste e di suoi libri. Ho lasciato insomma, che a parlare di Oriana Fallaci, fosse la scrittrice stessa, perchè credo che leggere le sue parole, lasciarla parlare insomma, sia l’unico modo di descriverla davvero oggettivamente.

«Ho avuto la fortuna di essere stata educata da due genitori molto coraggiosi. Coraggiosi fisicamente e moralmente. Mio padre, si sa, era un eroe della Resistenza e mia madre non gli è stata da meno». 

La mia fanciullezza è piena di eroi perché ho avuto il privilegio di esser bambina in un periodo glorioso. Ho frequentato gli eroi come gli altri ragazzi collezionano i francobolli, ho giocato con loro come le altre bambine giocano con le bambole. Gli eroi, o coloro che mi sembravano tali, riempirono fino all’orlo undici mesi della mia vita: quelli che vanno dall’8 settembre 1943 all’11 agosto 1944, l’occupazione tedesca di Firenze. Credo di aver maturato a quel tempo la mia venerazione per il coraggio, la mia religione per il sacrificio, la mia paura per la paura. (“Se il sole muore”, 2010). 

Io più che il giornalista ho sempre pensato di fare lo scrittore. Quando ero bambina, a cinque o sei anni, non concepivo nemmeno per me un mestiere che non fosse il mestiere di scrittore. Io mi sono sempre sentita scrittore, ho sempre saputo d’essere uno scrittore, e quell’impulso è sempre stato avversato in me dal problema dei soldi, da un discorso che sentivo fare a casa: “Eh! Scrittore, scrittore! Lo sai quanti libri deve vendere uno scrittore per guadagnarsi da vivere? E lo sai quanto tempo ci vuole a uno scrittore per esser conosciuto e arrivare a vendere un libro? (Archivio privato Oriana Fallaci, Appunto dattiloscritto). 

O. Fallaci e la sua famosa intervista a Gheddafi

Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata.  La rabbia e l’orgoglio (Milano, Rizzoli 2004).

È incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche.

Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare. Lettera a un bambino mai nato (Milano, Rizzoli 1975).

O. Fallaci inviata di guerra

A chi non teme il dubbio a chi si chiede i perché‚ senza stancarsi e a costo di soffrire di morire. A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla questo libro è dedicato da una donna per tutte le donne. Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Lettera a un bambino mai nato (Milano, Rizzoli 1975).

L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subire ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto.”

L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza, e quando scopriamo d’averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci. Un uomo (Milano, Rizzoli 1979).

Io non capisco questo pudore, questa avversione per la parola cancro. Non è neanche una malattia infettiva, non è neanche una malattia contagiosa. Bisogna fare come si fa qui in America, bisogna dirla questa parola. Serenamente, apertamente, disinvoltamente. Io-ho-il-cancro. Dirlo come si direbbe io ho l’epatite, io ho la polmonite, io ho una gamba rotta. Io ho fatto così, io faccio così e a far così mi sembra di esorcizzarlo. Insciallah (Milano, Rizzoli 1990).

Alcune doverose note descrittive 

Oriana Fallaci

La vita straordinaria di Oriana Fallaci non è molto conosciuta, soprattutto dai più giovani, che ne hanno sentito parlare esclusivamente per ciò che scrisse dopo l’11 settembre 2001.  

Scrisse, invece, ben dodici libri vendendo circa venti milioni di copie in tutto il mondo.

Giornalista, inviata di guerra e scrittrice, Oriana Fallaci ha introdotto uno stile unico, nel suo modo di scrivere e intervistare. E’ stata una delle prime donne a emergere in un settore fortemente maschile. Pur avendo posizioni radicali e non conformi al politically correct, non raccontava mai altro che la verità, la sua verità.  

Oriana Fallaci (Firenze, 29 giugno 1929 – 15 settembre 2006) 

L’ultima intervista 

L’ultima intervista, Oriana Fallaci, l’ha rilasciata al The New Yorker il 30 maggio del 2006 in un lungo articolo intitolato “The Agitator“. Parlò della sua vita e delle sue eccezionali esperienze: «Apro la mia boccaccia. E dico quello che mi pare». 

Fonte: “ilpost.it”

    
       

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