PROCESSO PENALE: IL PARERE TECNICO DELL’ACCUSA PESA PIU’ DI QUELLO DELLA DIFESA?

La battaglia delle perizie, esplosa in questi giorni sull’incidente ad Alex  Zanardi, porta in evidenza l’ultimo pronunciamento della Cassazione.

Ha destato un certo scalpore la recente pronuncia della Cassazione, secondo la quale, nel processo penale, i pareri tecnici resi dal consulente dell’accusa varrebbero più di quelli del consulente della difesa.

Vediamo cosa c’è di vero e cosa possa aver condotto a questa affermazione.

Nell’ormai lontano 1988, all’interno delle aule di giustizia è andato in scena un piccolo terremoto che ha mutato la secolare topografia dei luoghi. Il banco del pubblico ministero è sceso dalla zona rialzata, destinata agli scranni dei giudici, andando a fare il paio con quello degli avvocati, posto da sempre sul piano di calpestio destinato ad accogliere tutte le scarpe del popolo italiano, con la sola eccezione di quelle indossate da chi sentenzia nel suo nome.

Era entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, che avrebbe dovuto sostituire il modello di processo “inquisitorio” con quello ispirato alla diversa e più democratica logica “accusatoria”. La paritaria collocazione dei banchi doveva simboleggiare la nuova parità di armi e di posizioni fra accusa e difesa.

Ogni cambiamento, ancor più se annunciato come radicale, reca sempre in dote qualche nostalgia gattopardesca.

Sarebbe troppo lungo spiegare in modo compiuto le differenze fra i due modelli processuali ma si può tentare di renderne il senso. Secondo il rito accusatorio, la prova della colpevolezza deve formarsi nel dibattimento pubblico, nel corso del quale accusa e difesa devono avere la possibilità di provare le rispettive tesi utilizzando gli stessi mezzi, in condizione di simmetrica parità. Un esempio può consolidare il concetto: sia l’accusa che la difesa possono far ascoltare i testimoni in udienza e ciascuna parte può rivolgergli domande per saggiare la tenuta del loro racconto. Per contro, nel modello inquisitorio i testimoni vengono ascoltati solo dall’accusa e nel dibattimento compaiono non già i dichiaranti ma solo i verbali delle loro dichiarazioni.

Alla base si trova l’imprescindibile importanza del principio del contraddittorio. E’ ormai ampiamente riconosciuto che il metodo che meglio di ogni altro consente l’emersione della verità processuale, tentando di limitare gli errori giudiziari, è proprio quello di porre accusa e difesa nella condizione di rappresentare, ad armi pari, la “propria verità”, davanti ad un giudice imparziale e scevro da preconcetti cognitivi.

In questo quadro si inserisce la disputa concettuale sui poteri del consulente tecnico del Pubblico Ministero, figura sempre più diffusa per l’accertamento dei reati, in un mondo in cui la ricostruzione giudiziaria dei fatti è sempre più mediata dai periti e in cui, dunque, la scienza applicata riempie le pagine delle sentenze.

Nella società dominata dalle tecnologie i magistrati perdono ogni giorno di più la possibilità di leggere il reale attraverso l’uso dei soli ferri del loro mestiere.

Col passare del tempo va sempre più aumentando il pericolo che il giudice o il pubblico ministero si trovino a dover operare in una terra di cui non conoscono la lingua e nella quale si devono affidare quasi ciecamente ad un interprete.

Se così stanno le cose, ecco che salta fuori, di nuovo e prepotentemente, il principio del contraddittorio, sotto forma di contraddittorio tecnico.

Così come nel contraddittorio fra due testimoni occorre capire chi dice il vero, e lo si fa valutando (insieme ad altri indici) la coerenza del racconto, così nel contraddittorio tecnico, i due esperti contrapposti devono riferire la loro spiegazione scientifica dell’accaduto in un modo che sia convincente sotto il profilo della credibilità razionale.

La locuzione “credibilità razionale” è proprio quella utilizzata da autorevoli arresti della cassazione per spiegare come il giudice debba assolvere al proprio ruolo di “perito dei periti” e, dunque, di ultimo decisore.

Credibilità razionale significa dimostrazione di una tesi secondo le regole del metodo scientifico: ogni passaggio di rilievo dev’essere supportato da adeguata letteratura specialistica e legato in modo logicamente coerente ai passaggi successivi.

La matrice del metodo scientifico risale a Galileo ed è per questo che potremmo dire che ove un giudice pretendesse di far prevalere una teoria tecnico ricostruttiva solo in nome del suo autore – consulente dell’accusa piuttosto che della difesa -, assumerebbe un atteggiamento da Santa Inquisizione. Sosterrebbe cioè il metodo tolemaico in un mondo chiaramente eliocentrico.

Per fortuna, la recente sentenza da cui abbiamo preso le mosse, nel tentare di sostenere la prevalenza del consulente dell’accusa, lo fa con argomenti che, almeno nella dinamica delle vicende processuali proprie di quel processo, non vanno ad eliminare l’importanza della valutazione delle tesi sostenute dai due tecnici contraposti. Infatti, in quel processo, come la stessa sentenza non manca di riferire compiutamente, il consulente della difesa aveva espresso la sua posizione in modo apodittico e quindi aveva violato egli stesso il metodo scientifico.

Avv. Enrico Leo – Avvocato di Roma

Titolare dello Studio Legale Leo da circa trent’anni. Si occupa prevalentemente di processi penali per reati fallimentari, tributari e dell’economia.

https://iustlab.org/enrico.leo/processo-vannini-la-cassazione-e-stata-influenzata-dalla-super-procura-mediatica/

    
       

1 thought on “PROCESSO PENALE: IL PARERE TECNICO DELL’ACCUSA PESA PIU’ DI QUELLO DELLA DIFESA?

  1. Buongiorno, la ringrazio vivamente per descrivere come ogni giorno cambiando le leggi purtroppo a volte ci si trova davanti a contraddizioni epocali. Infatti leggendo mi chiedevo : chissà come faranno i giudici a decidere in maniera imparziale se devono sentire non uno o due pareri , ma molteplici e magari contrastanti fra loro come descritto da lei. Spero che deciderà di scrivere ancora in tale materia perchè c’è sempre da apprendere. Buona giornata.

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